Caro Papasso,
le sono molto grato per quanto Ella, inconsapevolmente
forse, ha fatto per me, traendomi da una consuetudine di
contemplazione dell'opera d'arte come oggetto "congedato" e
attirando invece la mia attenzione sul concetto di
"sperimentazione" che, mi pare, gli artisti d'oggi praticano in
larga misura, attuando, su un piano dinamico, quella che era
l'antica aspirazione di tanti Maestri: cioè la costante
sopravvivenza dell'Autore nell'opera sua, la quale non viene
perciò "congedata", ma continua a vivere in un processo
creativo che mantiene intatta la virtualità che l'hanno
generata.
Di qui ancora il concetto di "laboratorio" che mi pare
imprescindibile dalla comprensione dell'arte Sua e segna il
superamento delle categorie che vincolavano il pittore alla
fabbricazione di immagini realizzate col disegno e col
pennello.
Ma il concetto di "laboratorio come luogo di
sperimentazione" è estremamente umile e sommamente
orgoglioso al tempo stesso.
Mentre infatti sollecita l'autore ad una operazione
artigianale, da lui esige una potenzialità creativa che,
essendo più vincolante che il tradizionale ricorso ai
pigmenti colorati, moltiplica il suo impegno espressivo,
impedendo il distacco di cui abbiamo parlato.
La matrice, per esempio, non più strumento di sola
riproduzione meccanica, sopravvive all'immagine speculare da
essa prodotta, e conserva intatta la sua virtualità
espressiva, ponendosi come "archetipo" di un autonomo processo
vitalistico aperto e sempre attuale.
Laddove invece è più visibile il segno che il
foglio comprime senza meccaniche forzature, e lo possiede quasi
come un processo di osmosi, ecco che il bianco della pagina
prevale e si fa linguaggio controllato e spoglio, da percepirsi
sullo sfondo di un raccolto silenzio, dove certi impercettibili
impulsi cromatici hanno un'eco musicale remoto, non dissimile,
forse dalle "armonie delle sfere celesti" che, appunto, sotto
veste musicale, e matematica chiarezza, venivano percepite, nel
vasto silenzio cosmico, dagli antichi pitagorici, la cui mente
non era ancora irretita dalla logica del
sillogismo.
Se poi volgiamo lo sguardo ai suoi papiers froissés,
che ancora conservano, con il calore della mano il sentore
dell'atto creativo che combinandosi con una certa
casualità, come sempre accade negli organismi viventi,
ne raccolgono e ne continuano gli impulsi vitali, mi pare che
Ella abbia dato una risposta sincera ed elegante a quel
concetto di "arte povera", che impegna tanta parte della
produzione artistica contemporanea, sempre più aliena
dall'enfasi e dalla suntuosità.
Ma tutto ciò va ancora integrato, me lo consenta,
con un giudizio della Sua personalità di Autore che
è compito dell'Arte di rivelare e della critica di
rendere accessibile agli osservatori.
Sotto questo rispetto, mi sento di aderire alle Sue fragili
ed eleganti costruzioni, più che ai tagli, inutilmente
aggressivi di Lucio Fontana.
Mi creda Suo
Luigi Ferrarino(*) Pisa 1983
|