Anno 1998


"Luigi Ferrarino, lettera a Papasso, 1983"

Caro Papasso,

le sono molto grato per quanto Ella, inconsapevolmente forse, ha fatto per me, traendomi da una consuetudine di contemplazione dell'opera d'arte come oggetto "congedato" e attirando invece la mia attenzione sul concetto di "sperimentazione" che, mi pare, gli artisti d'oggi praticano in larga misura, attuando, su un piano dinamico, quella che era l'antica aspirazione di tanti Maestri: cioè la costante sopravvivenza dell'Autore nell'opera sua, la quale non viene perciò "congedata", ma continua a vivere in un processo creativo che mantiene intatta la virtualità che l'hanno generata.
Di qui ancora il concetto di "laboratorio" che mi pare imprescindibile dalla comprensione dell'arte Sua e segna il superamento delle categorie che vincolavano il pittore alla fabbricazione di immagini realizzate col disegno e col pennello.
Ma il concetto di "laboratorio come luogo di sperimentazione" è estremamente umile e sommamente orgoglioso al tempo stesso.
Mentre infatti sollecita l'autore ad una operazione artigianale, da lui esige una potenzialità creativa che, essendo più vincolante che il tradizionale ricorso ai pigmenti colorati, moltiplica il suo impegno espressivo, impedendo il distacco di cui abbiamo parlato.
La matrice, per esempio, non più strumento di sola riproduzione meccanica, sopravvive all'immagine speculare da essa prodotta, e conserva intatta la sua virtualità espressiva, ponendosi come "archetipo" di un autonomo processo vitalistico aperto e sempre attuale.
Laddove invece è più visibile il segno che il foglio comprime senza meccaniche forzature, e lo possiede quasi come un processo di osmosi, ecco che il bianco della pagina prevale e si fa linguaggio controllato e spoglio, da percepirsi sullo sfondo di un raccolto silenzio, dove certi impercettibili impulsi cromatici hanno un'eco musicale remoto, non dissimile, forse dalle "armonie delle sfere celesti" che, appunto, sotto veste musicale, e matematica chiarezza, venivano percepite, nel vasto silenzio cosmico, dagli antichi pitagorici, la cui mente non era ancora irretita dalla logica del sillogismo.
Se poi volgiamo lo sguardo ai suoi papiers froissés, che ancora conservano, con il calore della mano il sentore dell'atto creativo che combinandosi con una certa casualità, come sempre accade negli organismi viventi, ne raccolgono e ne continuano gli impulsi vitali, mi pare che Ella abbia dato una risposta sincera ed elegante a quel concetto di "arte povera", che impegna tanta parte della produzione artistica contemporanea, sempre più aliena dall'enfasi e dalla suntuosità.
Ma tutto ciò va ancora integrato, me lo consenta, con un giudizio della Sua personalità di Autore che è compito dell'Arte di rivelare e della critica di rendere accessibile agli osservatori.
Sotto questo rispetto, mi sento di aderire alle Sue fragili ed eleganti costruzioni, più che ai tagli, inutilmente aggressivi di Lucio Fontana.

Mi creda Suo

Luigi Ferrarino(*)
Pisa 1983

Anno 2000, cm 100x70

(*)Luigi Ferrarino, scrittore e saggista: Amedeo Modigliani, Gino Severini, Alberto Magnelli, Guernica - Pablo Picasso. Nato a Torino, fu allievo di Attilio Momigliano alla "Scuola Normale" di Pisa. Per circa quindici anni è stato direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e, quindi, di quello di Madrid (1964 - 1977). L’amicizia tra Papasso e Ferrarino risale ai primi anni ‘80, ed è nata a Pisa quando Ferrarino, già giubilato, risiedeva nella stessa città.


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