Sperimentazione A, Anno 2006



TESTO DI RICCARDO BARLETTA


"ANTONIO PAPASSO: ELOGIO DEL LEGGERO"

La visione oculare umana definisce ben delineate forme e figure del mondo. Papasso definisce esclusivamente segni, impronte, grinze. La sua visione tattile sposta la percezione dall’inferno della realtà al paradiso della sensibilità pura. Là dove l’anima (dal greco ànemos, soffio vitale) vive i suoi tempuscoli di illuminazione estatica.

          Scrisse Leonardo: "Infralle cose grandi che fra noi si trovano, l’essere del nulla è grandissimo". È appunto questo raro neutrino - prodotto magicamente dalla e “nella psiche umana - che Papasso ricerca. E testimonia. Tanto piccolo e tanto emotivo e così fugace da essere vicino al nulla. Al "nulla grandissimo" di Leonardo. E lui, Antonio Papasso, monaco sul Monte Athos della percezione, lo ricava pazientemente da mezzi poveri, colori delicati, voci sottili, umili toccanti trasparenze.

          Marginalità fragili, simili a respiri e sospiri. L’operazione di Papasso, apparentemente debole e a voce bassa, alla fine che significato ha? Diamole anzitutto un nome: Elogio del leggero. Per spiegarne meglio il contenuto, aggiungiamo un sottotitolo: Alla ricerca dell’inconscio tattile. Analizziamola per ultimo, entrando nei significati riposti. L’operazione, che ai superficiali sembra banale, dalla sua penombra mette in luce cose importanti.

          Leggero è parola che deriva dal latino volgare, per dire "lieve". Di poco peso, impercettibile, quindi tutto ciò che è delicato. Però il latino levis, indica l’alleggerire. Parola che rimane per noi tuttora nel termine levatrice. Colei che alleggerisce la madre dal nascente figlio. Veniamo ai dipinti. Ebbene, proprio questo elogio del leggero, è fatto di lavori in acquaforte più collage. Se ci pensiamo bene, alleggeriscono chi li contempla.

          Una per una le icone di Papasso sono un esercizio di penetrazione. Il contemplante esce dal frusto mondo delle cose. Si alleggerisce gradatamente della pesantezza della vita quotidiana. Della sua ripetuta densità. E come la levatrice fa nascere qualcosa di vivo, le acquaforti e collages fanno nascere in lui una emozione dopo l’altra.

          Partiamo da qui. E poi che succede? Lo psicanalista Ignacio Matte Blanco additò una verità psichica, assai poco nota, in merito. Egli affermò che "l’emozione è la madre del pensiero". In concreto, solo se emozionati lievita in noi qualcosa, nasce veramente una vibrazione che ci solleva e ci porta in alto. Oggi si vola facilmente, con un aeroplano, un elicottero, un aliante, una mongolfiera. Ma ricordiamo anche che da sempre l’uomo ha volato! Sì, ha volato. Ha volato con lo spirito, cioè con la fantasia e con l’arte. Dove allora, parimenti, ci fa il volare Papasso che non riproduce il cielo?

          Il poeta Antonin Artaud, siamo nel 1925, così spronò l’uomo comune: "Cedete al pensiero integrale. Il Meraviglioso è alla radice dello spirito". E proprio questo meraviglioso additato dal francese, che diventa in Papasso, un meraviglioso molto piccolo e fragile. Una indagine ricca di magia, incanto, stupore. Ecco, sono essi - questi tre sentimenti molto rari - che invadono l’osservatore delle sue opere. In lui si diffonde uno spray visivo molto soffuso.

          L’osservatore viaggia in un tessuto intracromatico ed extracromatico. Si spoglia dalle vesti della stereotipia, della convenzionalità iconica, della modellistica figurale. Abbandona la verità ottica. Il frottage defisicizza l’idea di realtà e la carica di concentrati frammenti. Per dir meglio di elettroni tattili e psichici. Lo spazio appare come invaso da uno strano infinito brulichio. Tramite i neutrini estetici che ci invadono e ci penetrano, qualcosa scatta. Scatta all’insù sul piano della bellezza, e contemporaneamente scatta all’ingiù sul piano dell’inconscio.

          Siamo arrivati all’approdo. Che è la ricerca dell’artista nell’area dell’inconscio tattile. La tramatura sottilissima e quasi subliminale dei segni, mai previsti, concentra percorsi senza né inizio né fine. Il percipiente pare smarrirsi. Infiniti insiemi, con dentro altri insiemi infiniti. Una dinamicità labirintica, di dolce e succoso assaporamento. L’energia mentale viene così convogliata dalla coscienza all’inconscio, e allora la nostra visione perde il suo contorno preciso e ben definito. Le forme percepite diventano più fluide, mescolate e divise in un flusso continuo. Una fibrillazione - insieme ottica e psichica - riportata entro l’area del "micro".

          Che cosa concludiamo? Il gioco cartaceo, la sensorialità per i segni cromatici, la moralità umile dei materiali. Tutto questo, attenzione, serve a fare scattare l’ascensione dell’anima dello spettatore. Una abilità controllata, senza dubbio, governa il flusso bellissimo di neutrini pigmentati. È il materiale poetico di questa levitazione. Così il nostro piccolo io - colluso e viandante negli insiemi infiniti, con dentro altri infiniti insiemi - vira in un moto perpetuo nell’inconscio tattile. Si perde, per un attimo. Ritrova l’ "essere del nulla" leonardesco.

Riccardo Barletta(*)
Milano, 24 settembre 2006

(*)Riccardo Barletta (Milano, 1934). Critico d'arte moderna, è stato docente di storia del design alla Scuola Politecnica di Milano. È autore di libri e saggi con specializzazione per l'iconologia.
Collabora dal 1969 al «Corriere della Sera» nei settori della pittura, scultura, architettura, design e arti applicate.

Se vuoi conoscere meglio il Prof. Barletta consulta una sua breve Biografia Formato PDF


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